DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL COMITES DI MONACO
IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA DEL 1. NOVEMBRE
NEL
CIMITERO DELLA CAPITALE BAVARESE
Gentile Ministro, gentili autorità civili e militari, gentili signore e
signori,
ancora una volta ci ritroviamo qui uniti per ricordare i nostri defunti ed i
caduti di tutte le guerre e per festeggiare la giornata dell'Unità Nazionale e
delle Forze Armate.
E come ogni anno lo facciamo in questo cimitero, un luogo particolare.
Qui riposano le salme di 1.778 militari italiani caduti nella prima guerra
mondiale e di 1.460 caduti nella seconda, tra questi ultimi numerosi lavoratori
civili, tra cui diverse donne, che si trovavano nei campi di concentramento
della Baviera e del Baden-Württemberg.
Un luogo quindi che unisce militari e civili, uomini e donne, giovani ed anziani
di generazioni diverse del secolo che si è da poco concluso. Le generazioni dei
padri e dei nonni di molti di noi, ancora presenti e vivi nel nostro ricordo.
Un luogo che è l’immagine del nostro Paese, nella sua semplicità, persino
nelle difficoltà della sua manutenzione (per la quale abbiamo spesso chiesto un
intervento del nostro Ministero della Difesa), ma anche nell’amore con cui
disinteressatamente concittadini ed associazioni se ne prendono cura in modo del
tutto volontario.
Anche l’Italia sta vivendo un momento difficile, attanagliata da una crisi
internazionale che ha messo a nudo le nostre debolezze, le debolezze che il
nostro sistema politico ed economico per troppo tempo si è rifiutato di
affrontare, seminando invece illusioni ed ottimismi superficiali. Illusioni ed
ottimismi che una buona parte del nostro Paese era pronta ad accogliere,
contenta di sentirsi compresa, persino giustificata nei suoi egoismi e nei suoi
piccoli interessi (e chi pagava le tasse era uno stupido, ce lo siamo forse
dimenticato?). Oppure era pronta a perdersi nelle favole secessioniste che
arrivavano a sbeffeggiare chi da tempo segnalava le infiltrazioni mafiose nel
cuore economico del Nord.
Eppure anche in Italia non tutto è perduto. Anche nel nostro Paese esistono
milioni di cittadini che fanno il loro dovere, che si impegnano
disinteressatamente nella loro professione, nel volontariato sociale, politico,
culturale e che rappresentano la nostra possibilità di riscatto. Anche a costo
della vita, e nella Giornata delle Forze Armate voglio qui ricordare – a
rappresentare tutti – l’ultimo dei nostri militari morti in missioni di
pace, Tiziano Chiarotti, di 24 anni, 52° caduto in Afghanistan, ucciso solo
pochi giorni fa.
Siamo un popolo di individualisti, sentiamo spesso ripetere e probabilmente con
verità. Disorganizzati e con scarso senso del bene comune. Eppure capaci di
reazioni corali e generose nelle situazioni di emergenza. Situazioni come
l’attuale, nella quale l’Italia sta infatti reagendo e riacquistando
un’immagine, un’attenzione ed una rispettabilità internazionale che negli
ultimi anni si erano offuscate.
E allora non pieghiamoci. Anzi, riscopriamo e valorizziamo il valore di
quell’Unità Nazionale che oggi si celebra. Unità che non è unanimismo, non
è uniformità di opinioni, non è mancanza di confronto, scontro, prospettive
diverse. Ma è piuttosto sentire di far parte di una comunità con diritti e
doveri, con un futuro in comune. Una comunità solidale pur nelle normali –
persino arricchenti e salutari – diversità, siano esse di ceto sociale, di
opinione, di fede, di etnia, di lingua (penso alle numerose minoranze
linguistiche che arricchiscono il nostro Paese). Una comunità nella quale
ciascuno si sente responsabile per il tutto. Una comunità che è attenta ai più
deboli (anziani, ammalati, disoccupati) e che investe sui più giovani (ed anche
quest’anno ci esorto tutti a rafforzare l’impegno per l’educazione dei
nostri ragazzi, che vanno aiutati e seguiti negli studi, pena la loro esclusione
futura dal mondo del lavoro).
Quella comunità per la quale ha testimoniato con la sua vita anche Giovanni
Pinna, prigioniero dei nazisti dal 1943 al 1945 e che oggi riceve alla memoria
– tramite la nipote Daniela Boi in Witherpoon - la medaglia d’onore concessa
“ai cittadini italiani deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al
lavoro coatto”. Una medaglia che non rappresenta un risarcimento impossibile
per le profonde sofferenze patite, ma piuttosto un impegno a non dimenticare, a
ricordare affinché gli errori e le tragedie del passato non si ripetano. Perché
anche questo è “essere comunità”: avere un passato, un passato da curare e
dal quale trarre insegnamento per il presente.
Passato e futuro. Questi due momenti si intrecciano oggi, in questa
commemorazione molteplice. Per questo voglio concludere con l’augurio a
ciascuno di noi di ritrovare la pace nel ricordo dei nostri cari che non ci sono
più. E nella pace interiore trovare la forza per mantenere e ravvivare ogni
giorno quello spirito di unità e responsabilità collettiva che ora ci unisce.
Per costruire insieme un futuro migliore.
Grazie.
Claudio Cumani