DISCORSO TENUTO DAL PRESIDENTE DEL COMITES DI MONACO DI BAVIERA, 

CLAUDIO CUMANI 

IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE 

DELL'ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE 

SUL COLLE DEL LEITENBERG (DACHAU) 26 APRILE 2014

 

 

Gentile Console Generale, Ministro Scammacca Del Murgo, 
sehr geehrte Frau Schimdt-Podolski, Stellvertreterin des regierenden Oberbürgermeisters Bürgel 
Sehr geehrte Herr Hartmann, neu-gewählter Oberbürgermeister, 
sehr geehrter Lehrer und Schüler des "Oskar-von-Miller-Gymnasiums" München, 
gentili rappresentanti delle associazioni d'arma, delle associazioni culturali, sociali, politiche, di volontariato 
gentili amici della Comunità Cattolica Italiana di Monaco di Baviera, 
sehr geehrter Pater Paul, des Dominikanerkonvents Augsburg, 
gentili signore e signori, 
care e cari giovani,

"Verhaftungsgrund: Unterstützung an Juden", "Motivo dell'arresto: aiuto agli ebrei" è riportato nella scheda personale di padre Giuseppe Girotti al campo di concentramento di Dachau. Sacerdote domenicano, studioso appassionato delle Sacre Scritture - delle quali offre letture che anticipano di molti anni le aperture del Concilio Vaticano II - padre Girotti dopo l'8 settembre 1943 si mette al centro di una vasta rete di sostegno a favore dei partigiani e soprattutto degli ebrei: per questo è arrestato, incarcerato a Torino, Milano, deportato a Bolzano-Gries ed infine a Dachau, dove muore non ancora quarantenne. Di fronte alle rovine delle dittature e della guerra in corso, questo sacerdote non si mette al sicuro, non assiste passivo agli eventi, ma prende posizione. Dimostra che si può reagire. Pronto a pagare di persona, come purtroppo avviene. Per questa scelta il papa Francesco lo ha proprio oggi proclamato Beato.

E in questa sua scelta padre Girotti è fratello di tutti coloro che non si arresero e che col loro impegno ed il loro sacrificio segnarono il riscatto dell'Italia e dell'Europa dalle tragedie del fascismo e del nazismo, delle loro ideologie liberticide, delle loro leggi razziali, delle guerre da essi provocate, in Africa, in Spagna, infine nel mondo intero.

Fratello di persone come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, i confinati di Ventotene che nel pieno della barbarie scrivevano il loro profetico manifesto "Per un'Europa libera ed unita".

Ed è proprio l'Europa, la nostra Unione Europea, l'approdo più alto e fecondo della lotta per la libertà che oggi ricordiamo e celebriamo. Ha scritto l'ambasciatore Silvio Fagiolo, uno dei grandi diplomatici italiani degli ultimi decenni: "L'integrazione europea nasce dalla sconfitta [...]. La sconfitta sulla quale meditano i fondatori degli anni dell'esilio, interno o esterno, Spinelli, De Gasperi, Adenauer, Spaak, Schuman, non è solo quella militare, ma anche morale. Non solo quella del 1945, bensì anche dell'Europa dopo il 1919, la sconfitta della democrazia, del parlamentarismo, della libertà, del pluralismo". La costruzione europea è la risposta, la reazione alle tragedie della nostra storia. Una risposta vincente: in questa parte del mondo (l'Europa occidentale del secondo dopoguerra) le nostre sono le prime generazioni da molti secoli che vivono senza sperimentare sulla propria pelle i dolori e le distruzioni della guerra. A noi sembra ormai una cosa scontata, ma non è così. Non lo è stato per i nostri genitori o nonni, non lo è per diversi dei popoli nostri vicini.

La costruzione europea è figlia del conflitto mondiale e della guerra fredda e si è via via sviluppata in reazione alle diverse crisi che si sono succedute. Nel 1951 l'Europa risponde all'acuirsi della crisi internazionale - di cui è espressione la guerra in Corea - avviando il cammino della sua unità politica con la fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio. Nel 1957 di nuovo l'Europa sa reagire alle tensioni internazionali (siamo poco dopo la repressione nel sangue della rivoluzione ungherese) ed alla crisi del Canale di Suez (che segna la fine dei sogni coloniali di Francia e Gran Bretagna) con i Trattati di Roma che rilanciano il dialogo e la coesione attraverso la creazione della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell'Energia Atomica. E così via, fino al 1989, quando la costruzione flessibile e ricettiva dell'Unione Europea - con l'attrazione che essa esercita - è motivo di pace e crescita comune, agendo come la sponda che evita il caos, dopo il crollo dei regimi comunisti nell'est del Continente.

L'approdo della moneta comune, l'Euro, si inserisce in questo percorso. Per paesi come l'Italia, la moneta comune è stata un'autentica ciambella di salvataggio. O pensiamo che se fossimo rimasti ciò che eravamo prima, e cioè un Paese con una moneta debolissima, soggetto a crisi finanziarie continue e con un'inflazione alle stelle, avremmo potuto reggere di fronte a crisi finanziarie internazionali come quelle recenti?

Certo, quella europea è una costruzione ancora imperfetta. Importanti sfide devono ancora essere vinte: dal coinvolgimento dell'opinione pubblica nel processo d'integrazione, alle modifiche istituzionali indispensabili per sorreggere un edificio di crescente estensione ed eterogeneità, ad una politica di difesa e sicurezza comune che dia all'Europa una dimensione strategica ed un ruolo internazionale chiaro e riconosciuto. Ma la casa europea è una costruzione da migliorare, non da buttare via. Forse non ci rendiamo conto dei vantaggi che ci ha offerto e ci offre, ma "è grazie all'Unione se abbiamo luoghi di lavoro migliori, aria meno inquinata, alimenti controllati, giocattoli sicuri, viaggi più semplici, telefonate meno care, dogane inesistenti" (Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 27.03.2014). O vogliamo tornare alle code ai confini (ben due, per andare da qui in Italia), a monete deboli e indebitamenti statali insostenibili? Ma, insomma!, "nei quindici anni dall'introduzione della nuova valuta sui mercati, il prodotto interno pro capite è salito in tutti i Paesi europei, salvo che in Italia, dov'è calato del 3 per cento. Colpa dell'Euro o colpa nostra, e di chi ci ha governato?" (sempre Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 27.03.2014)

"La Resistenza fu un grande moto civile e ideale, ma soprattutto fu un popolo in armi, una mobilitazione coraggiosa di cittadini giovani e giovanissimi che si ribellavano allo straniero" ha ricordato ieri il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nell'Europa del XXI secolo non dovrebbe più essere necessario impugnare le armi. Ma l'impegno di allora continua oggi per l'Europa. L'Europa è la "nuova frontiera" del nostro futuro. Sembrerà poca cosa, ma il 25 maggio andiamo a votare per il Parlamento Europeo, il luogo nel quale si prendono decisioni decisive per il nostro presente e il nostro futuro. Votiamo e sosteniamo le forze europeiste. E dopo quella data, impegniamoci e partecipiamo alla costruzione della casa comune europea. E così facendo, renderemo un omaggio non retorico e di circostanza, ma vivo ed attuale, a coloro che - come il Beato padre Giuseppe Girotti - lottarono e diedero la vita per la libertà, la giustizia, la pace.

Grazie

                      Claudio Cumani

Presidente del Comites di Monaco di Baviera